Seminatori di Pace

I seminatori di pace di Shalom

“La pace non è il risultato di procedimenti politici o di trasformazioni economiche

e nemmeno di un puro e semplice spirito di tolleranza. Sono queste le illusioni occidentali.

La pace postula dei mezzi omogenei a sé stessa, e innanzitutto una conversione all’amore del prossimo,

senza riserva alcuna, nemmeno quella della legittima difesa”.

Padre Ernesto Balducci

Ouverture con grazia. Per amore, solo per amore, i seminatori di pace di Shalom portano la loro fraternità, solidarietà, accoglienza ovunque è possibile… la loro presenza sul continente africano (o in altre parti del mondo) significa per pezzi di popoli impoveriti, il ritorno a una vita quotidiana più giusta e più umana… i loro sguardi, le loro braccia, i loro sorrisi… non guardano a etichette, marchi o generi… accolgono il diverso da sé nella semplicità e nel sudore del loro viatico ciascuno è parte del pozzo d’acqua, della scuola, dell’ospedale, dell’orfanotrofio… che costruiscono insieme alla gente che — attraverso ostacoli e sconfitte, anche — avanza nel futuro… credere in qualcosa o in qualcuno è sempre un atto di fede… “Tutto quello che so, l’ho imparato dall’amore” (Lev Tolstoj, diceva). La ricerca della felicità è alla fine (o al principio) di ogni via che porta ciascuno a sconfiggere la tristezza e la cupidigia di culture/idelogie del sopruso… è l’amore dell’uomo per l’uomo che ci unisce al mondo e lo fa uscire dalla propria infanzia.
Mi ricordo sì, mi ricordo dei seminatori di pace di Shalom… li ho visti ridere, piangere, amare là nelle sabbie africane, nelle discariche bruciate, nelle città affogate di miserie profonde… li ho visti attraversare frontiere, confini, barriere di ogni sorta… più di ogni cosa li ho visti aiutare chi era aveva fame, vestire chi era nudo, accogliere e difendere lo straniero, il migrante… non posso dimenticare la commozione di Don Donato, Massimo, Francesco e altri contrabbandieri d’amore… di fronte alle lacrime indifese dei bambini in cerca di un abbraccio, un sorriso, un’attenzione che implicava riconoscenza, felicità, bellezza e sconfiggeva infanzie maltrattate o vite destinate al dolore… i tessitori di sogni di Shalom portavano addosso il vangelo della gioia e lo disperdevano là dove la povertà veniva sconfitta… “Vi lascio la mia pace; vi dò la mia pace, non quella del mondo… Vi dò la mia gioia. Voglio che la mia gioia dimori in voi e che la vostra gioia sia piena”, Giovanni (cap. 15), diceva… la via della gioia passa là dove nessuno l’ha mai conosciuta ma solo sognata. Condividere la gioia significa rallegrarci della piccola felicità dell’altro, è una delicatezza di cuore e lo straordinario è che quando gli uomini conversano con gli angeli, i cieli in utopia divengono reali… gli uomini possiedono i mondi che sognano.
È l’amore che costruisce il mondo, perché è l’amore che tocca le anime dei forti… fai di ogni lacrima una stella e dell’amore fiori di carta colorata che accompagnano i tuoi sorrisi nel tempo… consegna il tuo sogno al mondo e i tuoi silenzi inzuppati d’amore, profumeranno di dolcezza e di rosa.
Ero lì, in Africa, per fare un libro fotografico in sostegno ai progetti del Movimento Shalom… ho visto don Donato, Massimo, Paolo… e altri seminatori di pace che ho incontrato nelle periferie invisibili africane… lavorare alla costruzione di una pace primitiva, una pace libera da censure, che trae da se stessa le proprie convinzioni di rispetto, dignità, condivisione del dolore… i carbonari di fratellanza di Shalom credono all’amore per gli sfruttati, gli oppressi, gli indifesi ma sopra ogni cosa credono che la sola rivoluzione possibile è quella della pace e della bellezza… quando le genti scopriranno la fame di bellezza che c’è negli uomini dimenticati della terra, ci sarà la rivoluzione della gioia e ogni uomo sarà parte dell’universo di pace che ha contribuito a creare…. l’uomo della pace è l’uomo libero, l’uomo planetario (padre Ernesto Balducci, diceva) che fa della propria libertà un dono a chi sente più vicino, a chi si riconosce nella sua dolce sensibilità, a chi ama ciò che egli stesso ama… bisogna essere pieni d’amore per amare la sofferenza e l’anima in volo è il messaggero che porta la felicità dove è stata calpestata o mai avuta.
Le fotografie che ho “preso” in Etiopia, Kenya, Uganda, sono frammenti di vita, “segni” e “modi” di vedere l’esistenza degli ultimi… ho condiviso la sofferenza degli altri, ma anche la spontaneità, l’allegrezza, la malinconia che uscivano dai loro corpi in amore… le feste, le danze, i canti in villaggi di fango e lamiere s’intrecciavano alla nascita di piccole scuole, nuvole di bambini in corsa per un po’ di ascolto, un pugno di quaderni nuovi, un vestito pulito… il ringraziamento di uomini, donne che mi donavano il poco che avevano… sono immagini che scavalcano i confini linguistici del reportage e vanno a delineare un — atlante di geografia umana — che ignora le convenienze sociali… ho viaggiato in aereo, in auto, in bicicletta, in groppa a un asino,
a piedi… sempre insieme al profumo di terra e di grano di Massimo, agli occhi incantati di eternità di Donato, allo stupore e alla meraviglia di uomini e donne incontrati nello scambio di baci  mai dimenticati… accompagnato da qualche ragazzo con la fionda tra le mani, un coltellaccio o un bastone d’acacia… qualcuno mi ha portato nella sua capanna, ho mangiato il miglio con le mani, bevuto qualcosa che non ho saputo mai cosa fosse… qualche bambino mi sorrideva sguaiato e diceva che ero “l’uomo con la barba che guarda le stelle… le loro risate selvatiche erano piene di speranza e traboccavano di incantamenti ludici… la tenerezza dei loro corpi antichi, ignudi come bisce al sole (Pier Paolo Pasolini, diceva), mi affascinava, era più bella della luce, più dolce del fuoco, più gentile dell’acqua di barrage dove andavo a fumare il sigaro toscano in compagnia degli uccelli che annunciano la notte stellata… la loro felicità  acerba trionfava sulla morte, sempre in agguato… i volti amorevoli erano leggeri come le mie fotografie e per chi come me è stato allevato nella pubblica via, non ha nessuna patria e non si è mai sentito da nessuna parte, lì ho compreso che sotto la pelle degli umili c’è l’universo. Così ho cercato di raccontare le loro storie con i loro volti, gesti, sogni e fissare nel tempo in rivolta dei gelsomini, l’interazione tra destino individuale e destino storico.
Mi ricordo sì, mi ricordo dei seminatori di pace di Shalom… li ho visti ridere, piangere, amare là nelle sabbie africane, nelle discariche bruciate, nelle città affogate di miserie profonde… li ho visti attraversare frontiere, confini, barriere di ogni sorta… più di ogni cosa li ho visti aiutare chi era aveva fame, vestire chi era nudo, accogliere e difendere lo straniero, il migrante…
Ricordo con l’amorevolezza selvatica del ragazzo di strada che sono stato e non ho mai tradito… i ragazzi-soldato di Uganda… là dove la violenza è scritta sulla polvere dei giorni e le favole orali sono state uccise nel sangue dei padri e delle madri lasciati marcire al sole… i ragazzi dagli occhi di ghiaccio mi hanno fatto entrare/specchiare nella bellezza delle loro anime deflorate, ulcerate, ferite e abbandonate a infanzie mai vissute… sono loro che hanno restituito i bagliori e le solitudini infinite di un’epoca della vergogna all’oblio, e sono riusciti — malgrado l’indifferenza di molti — a rivivere l’adolescenza originaria… l’incantamento dei sogni a venire custodisce l’odore di buono di un tempo, quando la bellezza e la felicità erano pane per tutti e l’amore dell’uomo per gli altri uomini era il sale della terra. E per finire — come anche per cominciare — la bellezza della loro esistenza sconosciuta o violentata che mi hanno buttato addosso, ha più importanza di qualsiasi ricompensa, riconoscimento televisivo o mercimonio dell’arte.
È l’amore che costruisce il mondo, perché è l’amore che tocca le anime dei forti… fai di ogni lacrima una stella e dell’amore fiori di carta colorata che accompagnano i tuoi sorrisi nel tempo… consegna il tuo sogno al mondo e i tuoi silenzi inzuppati d’amore, profumeranno di dolcezza e di rosa. Nulla è stato scritto né in cielo né in terra, tutto è invece nell’amore che riusciamo a darci… l’amore viola i limiti della sofferenza per fiorire sui sorrisi della libertà… il coraggio di amare, significa vivere anche la diversità, accettare la solitudine, la libertà e l’amore di noi e tra noi che si fa vita… [l’abbiamo scritto altrove e lo scriveremo sempre] quando il sogno di libertà, amore e fraternità tra le genti è soltanto quello di un solo uomo, resta solo un sogno… quando questo sogno entra nel cuore di tanti uomini diventa storia dell’umanità.
Dal taccuino di un fotografo di strada (Kenya, Etiopia, Uganda)
Pino Bertelli