LA MISURA DELL’UMANITA’ SI DETERMINA ESSENZIALMENTE NEL RAPPORTO CON LA SOFFERENZA E COL SOFFERENTE.

LA MISURA DELL’UMANITA’ SI DETERMINA ESSENZIALMENTE NEL RAPPORTO CON LA SOFFERENZA E COL SOFFERENTE.
Nella mia esperienza umana, pastorale e missionaria sono stato partecipe di molti eventi drammatici.
Genitori ai quali era morto in tragiche ed incomprensibili circostanze  un figlio o addirittura due figli si sono, in questi anni, avvicinati a me, come pastore e come fondatore del Movimento Shalom, per chiedere conforto e per dare con la solidarietà un senso al loro dolore.
In questi casi la fede è stata messa alla prova come nel caso di Abramo ma senza la vittima sostitutiva, in un attimo con un’irruzione imprevedibile la morte si è presa tutto.  Questi genitori chiusi in un silenzio disperato e impenetrabile con i volti sfigurati dall’angoscia, si chiedono: perché? Nonostante la mia lunga esperienza pastorale, malgrado le innumerevoli tragedie umane alle quali ho partecipato sia in Italia come nei paesi del terzo mondo, non sono capace di proferire parola, di trasmettere con argomenti convincenti speranze ultraterrene, di parlare loro del Dio buono che ama le sue creature. Al mio dolore si aggiunge l’imbarazzo per l’incapacità di annunciare il Vangelo. A distanza di tempo ho capito che di fronte a tanta desolazione è meglio tacere, comprendo ora che il mistero del dolore vuole il silenzio, il calore della vicinanza e le lacrime. Qualcuno ha agito indipendentemente da me, non è possibile umanamente comprendere che cosa sprigiona la forza di accettare, senza impazzire, il dolore più grande che può riservare la vita. La propulsione invisibile della sofferenza ci attrae irresistibilmente verso l’amore innocente crocifisso, risveglia risposte nascoste, potenze misteriose, ci spinge a cercare nell’aiuto agli altri una ragione per continuare nonostante il dolore, nonostante la disperazione. Così, col tempo, Fede e Speranza si fondono per divenire vita di chi tanto soffre e ciò che si credeva perduto si ritrova in una dimensione nuova e perfetta.
La storia umana è contrassegnata dalla sofferenza  che accomuna tutti gli uomini e trova la sua origine nella finitezza dell’uomo e nella massa estesa e inarrestabile delle colpe che inquinano il mondo e lo deturpano. Il dolore è moltiplicato senza misura da un capo all’altro della terra in una sconfinata gamma di forme. I patimenti toccano tutti i viventi, nessuno vive immune dal dolore che ha il volto della morte, delle malattie, delle ingiustizie, delle guerre, delle privazioni dei diritti, degli abbandoni, delle solitudini, dei fallimenti, delle paure, delle umiliazioni, delle catastrofi, della miseria, della disabilità fisica e mentale. L’esistenza umana ha per compagna la sofferenza. Fra tutte le sofferenze quella degli innocenti ci sconvolge di più ed è motivo di scandalo perché sembra oscurare il volto buono di Dio che viene additato come inaccettabile e crudele.
Benedetto XVI nella sua Enciclica “Spe salvi” ci conduce a scoprire l’oltre dell’esperienza temporale e spaziale. Egli parla di una realtà non distante ma già presente nel mondo, per mezzo della fede e della speranza.
Nel tempo dell’attesa va attivata la ricerca scientifica e intensificata la solidarietà fra gli uomini per  combattere le malattie, la fame e il dolore.
La condivisione della sofferenza e anche l’impegno per ridurla, sono possibili se, in qualche modo,  facciamo nostro il dolore, uscendo da noi stessi, ricercandone il senso, tenendo viva la speranza facendoci compagni di viaggio dell’uomo lungo i sentieri irti del dolore. L’ingiustizia è da sempre causa di inaudite sofferenze. L’impegno non a parole ma con i fatti nella giustizia e nella verità è determinante per i discepoli di Gesù e per gli uomini di buona volontà. Il coinvolgimento per la sorte del mondo è urgente ed è da questa dedizione che si misura la capacità di amare. L’enciclica lo mostra esplicitamente “soffrire con l’altro, per gli altri; soffrire per amore della verità e della giustizia; soffrire a causa dell’amore e per diventare una persona che ama veramente – questi sono elementi fondamentali di umanità, l’abbandono dei quali distruggerebbe l’uomo stesso”. (Spe salvi 39)
La fede cristiana è la risposta più esauriente al dramma dell’uomo sofferente, ne rivela il senso di impotenza ed il valore purificatore e salvifico. Se accettata e offerta, si trasforma benefica non solo per l’individuo ma per l’intera umanità. La zona scura del dolore si dissolve insieme al dubbio dell’amore di Dio, se accogliamo Gesù. È il suo soffrire che rende comprensibile e visibile anche il nostro penare. L’uomo maturo sa trasformare il dolore in amore, la sofferenza in dolcezza. Dai primi testimoni di Cristo fino ad oggi si sono susseguiti una moltitudine di uomini e donne nei quali si è resa visibile la “teologia vissuta” perché essi hanno condiviso qualcosa di simile a Gesù sulla croce, nel paradossale intreccio di beatitudine e di dolore.
Nella mia vita pastorale ho avuto la grazia di conoscere tanti fratelli e sorelle che non avranno mai gli onori della cronaca e probabilmente neppure degli altari, che resteranno sconosciuti al mondo e che hanno sopportato indicibili sofferenze con coraggio e generosità. Mi piace ricordare qui la mia amica tarantina Francesca Ricchiuti morta recentemente, per tutta la vita attaccata ad un polmone meccanico. Della sua esistenza aveva fatto un dono a Dio per la salvezza del mondo, il suo essere crocifissa con Gesù la trasformava in un ostia vivente e ogni giorno si donava con gioia, malgrado la fatica di vivere. Una volta mi ha confidato che aveva chiesto a Gesù perché l’aveva scelta e destinata ad un tale privilegio da essere assimilata a Lui immobile e inchiodato sulla croce. La croce era divenuta il talamo del suo amore con Gesù. Parole incancellabili scritte sulla carne con il fuoco. Nel progetto di Dio, pertanto, il dolore accolto e donato per amore diventa la via maestra per un rapporto umano e profondo nuovo e intenso, si svela così l’unione con il Signore ma anche la capacità di conoscere noi stessi, la nostra umanità. Quando l’amore non trova cittadinanza nel nostro universo interiore la vita perde ogni senso e, quando sopraggiunge, la sofferenza diventa inesorabilmente causa di frustrazione e di malessere.
La nostra speranza scaturisce dall’incontro del Crocifisso Risorto e l’avvicinarsi a lui nel viaggio della vita ci consente non solo di accettare le tribolazioni, ma anche di abbracciarle con letizia. Sono miracoli interiori che solo lo Spirito può generare e sostenere. Quante volte ho potuto sperimentare nella mia vita sacerdotale la fecondità del dolore e come solo l’amore possa curarne le ferite! Prove durissime della vita si sono rese sopportabili nella dedizione agli altri, nelle opere di giustizia, nella solidarietà verso i poveri. Famiglie e amici affranti dal dolore per la perdita di un loro congiunto hanno trovato sollievo e ragione di vita nella dedizione agli altri. Direi che Shalom, come tante altre comunità che vivono l’amore verso i poveri, è testimone delle grandi opere di Dio ed è “un chicco di grano gettato nella terra affinché produca molto frutto” (Gv 12, 24). Sappiamo tutti quanto sia difficile varcare la porta, stretta del dolore, ma è la sola che ci permette di entrare nella piena maturità umana.
Andrea Pio Cristiani