I nuovi muri, fra civiltà morenti e barbarie che avanza, nuovi poveri e povertà culturale

I nuovi muri, fra civiltà morenti e barbarie che avanza, nuovi poveri e povertà culturale

I nuovi muri, fra civiltà morenti e barbarie che avanza, nuovi poveri e povertà culturale: il dibattito sull’immigrazione galleggia fra ipocrisia e chiusura, buonismo e ottusità.

Quale futuro per tutti noi?
Che fine ha fatto la generazione che esultava per la caduta del muro di Berlino?
Quel muro sembrava simboleggiare il primo di tutti i muri che dovevano crollare, simbolo di chiusura, di ottusità, di opposizione al nuovo. Speravamo che i muri fossero ormai destinati a scomparire, sul finire del secolo scorso, spazzati via dalla rete globale, dall’Europa trasformata in un unicum, da comunicazioni sempre più veloci, dagli spostamenti da un paese ad un altro e da un continente ad un altro, dalla circolazione di lingue, culture, stili di vita. Sbagliavamo e i muri stanno tornando, più alti, più crudeli, ovunque, anche dove non avremmo mai immaginato. Crollo della finanza virtuale, riduzione del prezzo del petrolio, materie prime in calo e ancora guerre ovunque, una nuova barbarie che avanza, il pianeta devastato dalla cecità dei consumatori di carne da allevamenti intensivi, la mancanza dell’acqua che minaccia il pianeta, il clima impazzato, le stragi e gli attentati in nome di religioni interpretate in modo insensato: implosione o esplosione del mondo, sembriamo tutti sull’orlo di una crisi di nervi, parafrasando Almodovar.
Una massa di nuovi e vecchi poveri, di perseguitati, di rifugiati, spingono disperatamente alle frontiere del vecchio mondo, che reagisce con la paura, con l’egoismo, con misure sconclusionate e dissennate, confondendo terroristi e rifugiati, poveri e criminali, tutti in un unico vaso di Pandora che si cerca inutilmente di tenere serrato edificando muri e trincerandosi dietro fili spinati.
Ognuno sfugge alla responsabilità personale e risuona ovunque la domanda biblica “Caino, dov’è tuo fratello Abele?” e la risposta ipocrita e pavida è sempre la stessa: “Sono forse io il guardiano di mio fratello?
Ebbene sì, siamo tutti guardiani dei nostri fratelli, e solo con una presa di coscienza ampia e radicata nelle ragioni storiche, economiche, culturali di quel che avviene, avremo, tutti, qualche possibilità di salvarci.
È di questi giorni, nel caldo torrido di luglio, la notizia devastante di un ragazzo nigeriano ucciso a Fermo da un italiano che aveva chiamato “scimmia” la moglie del nigeriano; non conosciamo ancora la dinamica esatta dei fatti e aspettiamo che le indagini la chiariscano, ma una cosa è certa: Emmanuel, il giovane nigeriano, è morto, e sua moglie è rimasta sola a ricordare, a piangere, ad affrontare una vita che non si presenta certo sorridente. L’”uomo nero”, l’altro da noi, la diversità, continuano a spaventare, a creare reazioni scomposte e violente in un’oscena guerra dei poveri che il consumismo inutile e il terrore del futuro alimentano.
Non saranno certo i muri a fermare la richiesta di vita, di giustizia, di pace, di una buona parte del mondo; non saranno i muri a salvare coloro che sfuggono la fatica della responsabilità personale, unica possibilità di costruire un mondo sostenibile per tutti.
Siamo ormai tutti anestetizzati, ottusi, incapaci di indignarci, di commuoverci, quando all’ora del telegiornale assistiamo alle riprese di uno sgombero, di un respingimento, di una nave di poveri disgraziati finiti a per sempre nel Mediterraneo trasformato in un’enorme bara: continuiamo a mangiare, il cuore chiuso, lo sguardo spento. Pensiamo che riguardi “gli altri”; invece nel mondo globalizzato, nel bene e nel male, tutto riguarda tutti.
Vediamo ogni giorno bambini morti o rimasti soli, vediamo lo sgomento di chi è stato mandato a ‘sgomberare’, in “ordine pubblico”: spesso chi riveste questo ruolo entra in empatia con la sofferenza e ha occhi altrettanto sbarrati di quelli dei profughi. Vediamo tensioni e abbracci, vediamo sorrisi che affiorano nonostante tutto, perché, da una parte e dall’altra, ammesso che esistano parti diverse, siamo solo e soltanto umani. E questa fuga di metà del mondo verso l’altra metà del mondo, veramente pensiamo che saranno i muri a fermarla? Fuga da guerre nelle quali l’Europa è responsabile di vendere armi e di fare soldi, fuga da enormi spazi naturali e bellissimi resi invivibili da un post-colonialismo ancora più crudele dei mercanti di schiavi, fuga da conflitti senza nome e senza perché, fuga da malattie vecchie e nuove, fuga da catastrofi ambientali, fuga da una povertà indicibile, fuga dalle persecuzioni politiche: un muro, dieci muri, centinaia di muri potranno arrestare tutto questo?
In questo Occidente che si rallegrava del trattato di Schengel, della libera circolazione, dell’eliminazione di barriere economiche e culturali, dell’Erasmus e degli studi all’estero: ecco di nuovo che tutti cercano di ‘marcare’ il territorio, di nuovo si parla di “noi” e “loro”, di “dentro” e “fuori”.
“Sono forse io il guardiano di mio fratello?” è davvero la domanda più attuale, quella che deve andare dritta al cuore e all’intelligenza di ognuno: e la risposta è “Sì! Sono io il guardiano di mio fratello!”, ad ognuno di noi il compito di comprenderlo e di agire di conseguenza.
Marilina Veca