IL PROGETTO “7 GENNAIO” : STORIA DI UN GRANDE GESTO D’AMORE

                            
Più passa il tempo  più mi convinco che in quel maledetto 7 gennaio del 2007 anche una parte di me sia  rimasta sull’asfalto della Tosco Romagnola assieme al corpo senza vita di Matteo.  Il dolore straziante  provato per la perdita del figlio di Gabriele e Roberta, che fino a quel giorno aveva condiviso con la mia famiglia diciassette anni  di vita, è stato così intenso che di fatto ha impedito mi accorgessi di quanto questa triste esperienza  mi  avesse invecchiato precocemente.  L’ estremo atto di amore,  con il quale questi due genitori acconsentirono  subito all’espianto degli organi del loro figlio, mi spiazzò completamente, così come mi colpì, per il funerale, la loro caparbia volontà di raccogliere fondi per la realizzazione di un pozzo in Burkina Faso.  Ancor più sorpreso rimasi quando, in Africa, non vollero  lasciar cadere quell’appello che gli fu rivolto dai capi dei villaggi che avrebbero beneficiato della preziosa acqua del loro pozzo. Venne chiesto a loro  di realizzare in quella zona  una scuola per i numerosi bambini  che non avrebbero potuto altrimenti istruirsi tanto era la distanza che li separava dalla scuola più vicina. L’appello non cadde nel vuoto.   Un giovane vescovo di una sterminata quanto povera diocesi, situata al confine del Deserto del Sahel, si rivolse al nostro Movimento perché si attivasse per la costruzione di una scuola primaria per  ragazze.  La condizione femminile in Africa è molto difficile, le bambine  provenienti da famiglie povere, hanno poche, per non dire nessuna possibilità di istruirsi e quindi evitare una vita di miserie e di soprusi.  Gabriele e Roberta conobbero presto l’energico vescovo Giovacchino  e si fecero conquistare dal progetto per la realizzazione della scuola nella sua diocesi di Dorì.  Da allora molte persone hanno lavorato con impegno e dedizione a quello che sembrava  solo un sogno:  far rivivere Matteo garantendo l’ istruzione di centinaia di bambine così lontane da noi.   Proprio così, lui che era stato uno studente modello, sensibile, intelligente e sempre pronto ad aiutare i compagni in difficoltà, attraverso il nostro lavoro, aveva la possibilità di “donare” una nuova prospettiva di vita a molte donne africane. Da  quella scuola costruita in sua memoria avrebbero potuto formarsi  i nuovi insegnanti, gli amministratori, gli educatori con il compito di cambiare il volto del proprio paese e, chissà mai, dell’Africa intera.
Decine e decine di migliaia di euro presto si sono trasformati in ferri da armatura e cemento, mattoni e calce, vernici e suppellettili.  Non ci restava altro che inaugurare la scuola, la scuola del nostro amato Matteo.
 
 
Per questo motivo, guidati  dall’energia di Gabriele, ci siamo tuffati  a capofitto nel pianificare una serie di  incontri di sensibilizzazione nelle scuole e nelle parrocchie , abbiamo distribuito salvadanai, magliette e gadget,  coordinato coreografie allo stadio raccogliendo offerte,  richiesto contributi alle istituzioni e alle aziende,  organizzato cene di autofinanziamento, lotterie, fiere di beneficienza, feste della carità, gare ciclistiche, tornei di calcetto  e ,grazie alla sinergia con i volontari di tante sezioni del Movimento Shalom sparse in tutta Italia, siamo riusciti nell’intento.  Il progetto “ 7 gennaio” in soli tre anni era diventato ormai “Ecole 7 gennaio”. Le raccolte di fondi  e le piccole donazioni ottenute da un numero impressionante di persone hanno fatto sì che queste, come  piccoli rivoli di  acqua, abbiano potuto ingrossare il  grande fiume della solidarietà. Decine e decine di migliaia di euro presto si sono trasformati in ferri da armatura e cemento, mattoni e calce, vernici e suppellettili.  Non ci restava altro che inaugurare la scuola, la scuola del nostro amato Matteo.
Finalmente un nutrito gruppo di persone partì dall’Italia alla volta di Dorì per partecipare all’inaugurazione. Proprio per non deludere le autorità africane presenti, il Movimento mi concesse l’onore di presenziare assieme ai capi villaggio, al Governatore della Regione ed al Ministro della Pubblica Istruzione , conferendomi  la carica di “Ambasciatore della Pace di Shalom”.
Una volta scesi dai pulmini fummo accolti da due ali di bambine, alunne della scuola, vestite con una sgargiante divisa color blu cielo, che, cantando canzoni  di benvenuto ci scortavano al centro  della scena. Il Vescovo Giovacchino ci venne incontro abbracciandoci tutti come se ci conoscesse da una vita. Alternando balli e canti popolari i relatori si susseguivano parlando da una sgangherata altana di  legno.
Quando fu il mio turno mi accompagnarono Gabriele e Roberta.  Per l’occasione, per evitare che la commozione prendesse il sopravvento,  avevo scritto il discorso.Con un groppo alla gola e la voce strozzata dall’emozione  riuscii a leggerlo, lentamente, per permettere al nostro Jonas di tradurre in francese e nel dialetto locale.“  Mi resi subito conto di non parlare a una platea di persone bensì ad un solo individuo. Sì a lui. Proprio a lui. A Matteo. Non per chiedere il suo apprezzamento su ciò che avevamo fatto, ma per consegnargli, in modo simbolico, le chiavi dell’opera: la sua scuola. Dopo, Gabriele ringraziò tutti per l’impegno profuso e ripercorse commosso, tutto il cammino fatto per realizzare il progetto.  Questa  è la storia di quel grande gesto d’amore che abbiamo voluto chiamare “7 gennaio”.
Silvio Della Maggiore