Democrazia import / export

Democrazia import / export

Oramai siamo abituati alle missioni di pace per esportare diritti, civiltà e democrazia.
Gli ultimi scenari sono desolanti ed i risultati catastrofici: dalla caccia alle inesistenti armi di distruzione di massa in Iraq, all’improvvisa quanto sconvolgente recente uscita dall’Afghanistan.

Il mondo sa che dopo le azioni belliche di pace e l’apparente indebolimento degli eserciti locali succede la democrazia con la designazione dei nuovi governanti, magari vecchi oppositori dei regimi precedenti, che super pagati si prestano a fare le marionette dell’occidente.

La mia mente non arriva a comprendere come si possa imporre a culture secolari abituate a seguire capi tradizionali, per lo più ancorati a credenze religiose, un complesso sistema democratico che appare all’Occidente come l’unica forma di governo. Governi peraltro sempre più spesso corrotti da costi talmente elevati, tanto che a correre alle elezioni delle cariche più rappresentative sono coloro che dispongono di risorse immense o che hanno amici pronti a finanziarli, per poi riceverne i favori.

Anche nei nostri paesi di vecchia tradizione democratica dovremmo ripensare ad un nuovo sistema elettivo capace di garantire governanti all’altezza, con capacità morali e intellettuali idonee a rispondere alle problematiche attuali.
La situazione che viviamo mi dà ragione!

Le ingenti somme che vengono investite per esportare la democrazia potrebbero essere investite in scuole, ospedali, pozzi, trattori e ricerca? Allora sì che sarebbero vere missioni di pace.

È pur vero che la guerra è un fottuto gran business e che gli eserciti, oramai costituiti da professionisti, incidono enormemente sui bilanci degli stati e in qualche modo devono essere produttivi.
Cosa si nasconda dietro le guerre lo possiamo immaginare: solo interessi innominabili, ma che tutti sanno dal petrolio al gas, dalla droga all’oro, dai diamanti al traffico di essere umani che le guerre fanno aumentare in modo esponenziale.

Io credo soltanto in una politica che faccia incontrare popoli sui sentieri del dialogo e della cooperazione, per livellare le disuguaglianze.
Nell’epoca della globalizzazione e della tecnologia questo nostro piccolo mondo potrebbe davvero parlarsi per ricercare insieme valori comuni da esportare capillarmente a tutti gli abitanti della terra. Sogno un impegno comune, per un ethos universale. Ecco l’unica esportazione politica che il mio modesto cervello possa concepire.

di Andrea Pio Cristiani Fondatore di Shalom