EROI DELLA PACE "DON LORENZO MILANI"

Don Lorenzo Milani testimone del Vangelo, apostolo della pace, a partire da passioni non sempre condivisibili, come quella di escludere la ricreazione, il gioco, l’oratorio dal suo discorso pedagogico, oltre che – naturalmente – straordinario discorso di fede. Questo sostiene don Andrea Cristiani, nella sua rubrica “Uomini delle pace” su PeaceMaker il programma in onda ogni mercoledì alle 21, e poi in pluriprogammazione, su Antenna 5, canale 72 del digitale terrestre (ma anche su facebook alla pagina con lo stesso nome).
Partiamo appunto da qui, per riflettere su una delle figure più importanti, nell’Italia del secondo dopoguerra, sia nel mondo cattolico che in quello laico. Si pensi semplicemente alla coraggiosissima battaglia che don Milani conduce per l’obiezione di coscienza, che lo farà morire condannato dallo Stato, ma che ha progressivamente portato all’abolizione del servizio militare obbligato, fino alla fase attuale del servizio civile, per cui una serie di giovani possono lavorare, ad esempio, presso la direzione del Movimento Shalom, fornendo una  preziosa collaborazione, prima a Shalom, poi a se stessi.
C’è un articolo, scritto sulla Domenica del Corriere, a dieci anni dalla morte del prete di Barbiana, dove un altro protagonista del rinnovamento della Chiesa, padre David Maria Turoldo, ricorda la figura di don Milani, paragonandolo a Sant’Antonio da Padova, non tanto per una serie di gravi problemi fisici, una proverbiale bruttezza, quanto per l’asprezza della testimonianza, per gli anatemi che non risparmiò mai, soprattutto alla Chiesa del suo tempo, tanto che i suoi Sermones Domini sono stati tradotti in italiano soltanto nel 2005, perché – come notava  Turoldo – “avrebbero potuto scandalizzare la gente”. Eppure Sant’Antonio è rappresentato, fin nelle statue, come una figura serafica, con in braccio Gesù Bambino. Quanto di più falso, così come don Milani, appunto, che viene spesso descritto come accomodante e obbediente. Turoldo non racconta le confessioni del suo amico, ma dice almeno della sua intransigenza, che potrebbe derivare dal fatto che era comunque un convertito, provenendo da una madre di fede ebraica, dunque un cattolico profondamente convinto, poco disposto a scherzare sulle cose della Chiesa. Vale insomma la pena di studiarlo, più a fondo di quanto sia stato fatto fino ad oggi, e magari, come suggeriva Turoldo, di farlo santo, perché “non è che i santi debbono essere delle mezze cartucce? Anzi – continua Turoldo – io che l’ho conosciuto bene, col quale ho passato i più infuocati incontri del mio sacerdozio, tenendogli appunto testa per via di quella giustizia al grado di furore di cui è stata divorata la sua vita più che dalla leucemia, dico che solo quando la Chiesa avrà il coraggio di riconoscere la santità di don Milani, senza togliere neppure una parola (tanto meno le sue parolacce!) alla sua esperienza – tale e quale egli l’ha vissuta – allora dico che avremo una Chiesa veramente nuova; e una nuova santità muoverà il mondo”.