Le migrazioni climatiche

Le migrazioni climatiche

di Andrea Stocchiero, FOCSIV

Negli ultimi anni l’attenzione agli effetti del cambiamento climatico sui movimenti umani è aumentata notevolmente. I rischi legati al clima sono diventati sempre più frequenti e modificano in modo sempre più impattante gli insediamenti umani. Ma come potremmo riferirci alle persone costrette a lasciare le loro case nel contesto di disastri naturali creati o amplificati dal cambiamento climatico?

Il termine “rifugiato climatico” è stato ampiamente utilizzato nel corso degli anni dai media e dalla letteratura comune per riferirsi a quelle persone che sono costrette a lasciare le loro case o i loro paesi a seguito di disastri improvvisi, come le alluvioni, o di lenta insorgenza, come la desertificazione. Va notato, tuttavia, che questa definizione non esiste nel diritto internazionale in quanto la Convenzione di Ginevra del 1951 non menziona le catastrofi naturali tra le cause di persecuzione. La definizione largamente usata di “migrante climatico” potrebbe essere considerata più appropriata.

Anche la definizione di “sfollato climatico” ha guadagnato popolarità e sembra essere la più accurata.

Tutti questi sforzi per districarsi nella comprensione di chi sono i migranti climatici e sul nesso complesso tra il cambiamento climatico e la migrazione, con i Patti Globali per i Rifugiati e per i Migranti, fanno parte di un quadro politico più generale e completo della comunità internazionale che è l’Agenda 2030 sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals– SDGs). In particolare, il collegamento tra l’SDG numero 10 che ha un obiettivo specifico (10.7) su “Facilitare una migrazione e una mobilità delle persone ordinata, sicura, regolare e responsabile, attraverso l’attuazione di politiche migratorie pianificate e ben gestite”, e l’SDG numero 13 su “adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e il suo impatto”, è il pilastro dell’impegno delle Nazioni Unite per rispondere alle sfide dei migranti climatici.

Intanto, diverse ricerche continuano a cercare di misurare il numero delle persone costrette a spostarsi, la Banca Mondiale stima in 143 milioni il numero di migranti ambientali entro il 2050. Mentre numeri certi sugli sfollati ambientali, come quelli del Centro di monitoraggio degli sfollamenti interni (IDMC), hanno registrato 17,2 milioni di nuovi sfollamenti per eventi ad insorgenza improvvisa nel 2018. Si noti però che si tratta di sfollati interni. Infatti, le cause ambientali provocano spostamenti di popolazioni soprattutto a corto raggio. Che fare? Non si può più tergiversare, si tratta di emergenza climatica. Le emissioni di carbonio vanno ridotte drasticamente, mentre occorre cooperare per far crescere le capacità di adattamento e resilienza delle comunità più vulnerabili, qui e altrove. In questa direzione vanno anche gli interventi di Shalom quando sostiene progetti di agroecologia. Mentre la Focsiv continua a monitorare la questione dei migranti ambientali, e più in generale del rapporto tra migrazioni e sviluppo, con il progetto Volti delle Migrazioni, cofinanziato dall’Unione europea, per promuovere nuove politiche più giuste e sostenibili.